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Aperto dalle 10.00 alle 17.00

Fleurs des pharaons

19 maggio 2013 – 2 marzo 2014

La mostra Fiori dei faraoni è stata il frutto di una scoperta recente. Nell’estate del 2010, l’archeobotanica Christiane Jacquat aveva riesumato un tesoro perduto negli scantinati dell’Istituto di botanica sistematica dell’Università di Zurigo : dei frammenti di ghirlande funerarie che ornavano le mummie dei faranoni Ramses II, Amenofi I, Ahmose e altri defunti. Raccolti nel 1881 nel nascondiglio di Deir el-Bahari, dal celebre egittologo Gaston Maspero, queste fragili vestigia sono state offerte nel 1890 al giardino botanico di Zurigo, dove ne sono state perse le tracce. Fuori dall’Egitto, queste ghirlande di fiori sono conservate unicamente nei più grandi musei del mondo : a Parigi, Berlino, Londra, Vienna, New York, Leida, Firenze e Torino.

Al fine di valorizzare questa scoperta eccezionale, il Laténium ha avviato una collaborazione con l’Universtità di Zurigo, affidando a Christiane Jacquat la realizzazione scientifica di una mostra assolutamente originale, che associava la visione della botanica e dell’archeologia a quelle dell’egittologia e della storia delle scienze, grazie al contributo di curatori associati : Isadora Rogger (Università di Ginevra) e Géraldine Delley (Università di Neuchâtel).

Per rendere l’idea dell’universo funerario e simbolico dei fiori nell’Egitto antico, l’esposizione « Fiori dei faraoni » si è avvalsa di interventi artistici svariati (disegni, letture, film d’animazione e sculture di carta). Oltre che dei partenariati con la Haute Ecole Arc sezione conservazione-restauro di Neuchâtel e col giardino botanico di Neuchâtel, si è avvalsa dei prestiti di numerosi oggetti e documenti conservati presso istituzioni pubbliche e private, in Svizzera e all’estero. Da notare in particolare il prestito eccezionale di oggetti di grande valore provenienti dalla collezione del Museo di etnologia di Neuchâtel (MEN), che hanno beneficiato di un’importante opera di restauro e di conservazione condotta congiuntamente dai team del MEN e del Laténium.

Appena varcata la porta monumentale dell’esposizione, il visitatore veniva immerso nella rievocazione della scoperta del nascondiglio di Deir el-Bahari, nel 1881, una cripta dove i preti di Amon avevano dissimulato le spoglie « di famiglie intere di faraoni… forse tra i più illustri che hanno regnato sull’Egitto », secondo la testimonianza dello scopritore, il celebre egittologo Gaston Maspero.

Il visitatore penetrava in seguito nella camera sepolcrale dove risuonavano le invocazioni del Libro dei Morti destinati ad assicurare l’immortalità di Nakht-ta-Netjeret, il guardiano della porta di Mut a Karnak. Adagiata nel sarcofago, la mummia del defunto di tre millenni fa è rivestita di una luce d’oltre tomba riflessa da un film d’animazione dove viene ripetuta senza sosta la creazione di ghirlande sacre.

Sviluppando un approcio innovatore, l’ultimo settore della mostra Fiori dei faraoni illustrava infine le relazioni, spesso ignorate, che hanno intrattenuto l’egittologia, l’archeologia preistorica e le scienze naturali alla fine dell’Ottocento. Come lo mostrava il laboratorio ricostruito alla fine del percorso espositivo, dove si osservavano al contempo campioni botanici e documenti scientifici provenienti dall’Egitto e dalla Svizzera, queste interazioni feconde sono state stimolate dalle ricerche sulla preistoria lacustre. Ispirati dalle analisi dei resti botanici messi in luce sulle sponde dei laghi svizzeri, gli scienziati che hanno deciso di salvaguardare le ghirlande fiorite dei faraoni sapevano che queste offerte funerarie avrebbero potuto darci informazioni, non solo sui rituali, le credenze e i simboli religiosi dell’antichità egizia, ma anche sulla vegetazione, le pratiche agricole e le abitudini alimentari degli antichi abitanti delle rive del Nilo.

Con questa mostra dedicata alle scoperte tra le più emozionanti delle tombe faraoniche, il Laténium voleva sottolineare l’importanza delle collaborazioni interdisciplinari e la prossimità archeologica insospettabile tra gli sfarzi per noi inconsueti dell’Antico Egitto e le testimonianze più fragili del nostro lontano passato regionale.